lop1912 on Sat, 4 Dec 1999 21:06:18 +0100 (CET)


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<nettime> riflessioni dopo il global riots


il sapiente il guerriero il mercante

by bifo


Il sapiente il guerriero e il mercante si sono avvicendati sulla scena del
secolo ventesimo, giocando la partita che oggi (nella luce di Seattle)
appare quella veramente decisiva. 

Il sapiente è l’erede del lavoro umano, dell’intelligenza accumulata
nell’infinita successione di gesti di lavoro e nell’infinita successione
di atti di rifiuto del lavoro. Il rifiuto del lavoro (il risparmio di
fatica)  è la causa evolutiva dell’intelligenza. L’intelligenza è rifiuto
del lavoro che si realizza in forma socialmente utile. La scienza moderna
è consapevole di questa sua funzione, Galileo riconosce che la funzione
del suo sapere è quella di ridurre il lavoro degli artigiani
moltiplicandone la potenza, e Francis Bacon dice ambiguamente: knowledge
is power. Potenza e/o potere. 

Il sapiente sa che conoscere è potenza.

Il mercante e il guerriero vogliono farne potere. E a questo scopo debbono
sottomettere il sapiente.  Ma il sapiente non si sottomette, la conoscenza
non tollera dominio. perciò il guerriero ed il mercante ricorrono ad
astuzie e a trappole, per sottomettere la potenza del pensiero al potere
del danaro e della violenza. 

In un libro dal titolo Gli apprendisti stregoni Robert Jungk racconta come
si è verificata la cattura del sapiente da parte del guerriero, negli anni
della seconda guerra mondiale. La storia del progetto Manhattan, che ha
portato alla realizzazione della bomba nucleare è una storia istruttiva.
Un gruppo di scienziati (tra i quali Albert Einstein, Robert Hoppenheimer)
furono posti di fronte al ricatto: Hitler sta preparando la bomba atomica
(Heisenberg è rimasto in Germania, possiede le conoscenze per realizzare
la bomba). Il governo degli Stati Uniti riuscì a convincere in questo modo
il sapiente a piegarsi al suo ricatto. La prova di quel dominio fu
Hiroshima.  Da quel momento inizia la lotta di liberazione del sapiente
dal guerriero, e quella lotta culmina nel ’68. Il ’68 fu essenzialmente
questo: il rifiuto del sapiente di prestare il suo sapere al guerriero, la
decisione di mettere il sapere al servizio della società. 

A questo punto si presenta il mercante, e circuisce il sapiente riducendo
il suo sapere sotto il dominio degli automatismi tecnici che il sapere
medesimo produce. I due decenni inaugurati da Reagan sono quelli in cui il
sapere viene messo al lavoro in condizioni di dipendenza dal capitale. La
scienza viene incorporata negli automatismi della tecnica, e perde la
possibilità di riflettere sulle finalità che la guidano. L’intensiva
applicazione del sapere alla produzione, che si concretizza nella
creazione della tecnosfera digitale, produce un effetto di potenza
straordinaria. Ma quella potenza viene soggiogata al potere.  Sottomessa
alla logica del profitto, la tecnica diviene moltiplicatore di miseria.

Quando ero un bambino di dieci anni, nel 1960, compravo le figurine che mi
mostravano come sarebbe stato il duemila, e mi dicevano che nel duemila
tutti i problemi dell’umanità sarebbero stati risolti perché la tecnica
avrebbe assicurato la pace la libertà e l’abbondanza. Ma adesso che il
duemila è arrivato invece della pace c’è la guerra in gran parte del mondo
e la bomba atomica prolifera nelle mani di fanatici integralisti. Invece
della libertà c’è il dominio indiscutibile delle priorità economiche,
invece dell’abbondanza c’è lo schiavismo, la miseria e la fame in due
terzi del mondo. Allora occorre fermare la follia che procede
dall’applicazione fanatica delle regole del mercato, fermare la corsa fin
quando non se ne è ridefinita la direzione. 

E la direzione della corsa non la può decidere né il guerriero né il
mercante.  Solo il sapiente può stabilirla. Solo la conoscenza umana,
seguendo le sue regole, le sue priorità e le sue linee di possibilità, ha
il diritto di ridefinire le regole della produzione e dello scambio. Solo
le donne e gli uomini in quanto soggetti di conoscenza sulla propria vita,
sulle proprie tecniche e sulle proprie necessità possono decidere in che
direzione deve andare il mondo. 

Questa è la grande notizia che viene da Seattle. I mercanti non hanno il
diritto di decidere della vita di miliardi di persone sulla base delle
priorità del loro profitto. Coloro che predicano i benefici della
tecnologia sono ipocriti se non sanno riconoscere che questi benefici
interessano solo il dieci per cento dell’umanità. 

Contrariamente all’illusione di Fanon e di Sartre la speranza non ci viene
dai disperati. Non sono gli esclusi, i poveri, gli sfruttati, che potranno
liberare la potenza del conoscere dal potere delle armi e del danaro. E’
bene liberarsi dalle retoriche populiste se si vuole ragionare con
efficacia.  Soltanto un movimento dei ricercatori, un movimento del lavoro
ad alta tecnologia può bloccare l’infame dittatura delle multinazionali
della finanza.  A Seattle ci sono i contadini che difendono le
coltivazioni tradizionali e gli operai che difendono il loro posto di
lavoro. Hanno tutto il diritto di farlo ed è una fortuna che si siano
decisi a scendere in piazza. Ma non saranno loro ad aprire una strada
verso il nuovo.

Il fulcro della rivolta di Seattle è l’intelligenza collettiva. Il popolo
della rete ha chiamato a raccolta il proletariato high tech, ed ha creato
le condizioni perché la rivolta deflagrasse fortissima nel cuore del
sistema mediatico mondiale.  Questa non è una lotta contro la
globalizzazione, per il ritorno al tempo delle sovranità nazionali, o
all’identità idiota dei popoli.  Tanto è vero che la chiave della forza di
questa rivolta sta proprio nel fatto di essere globale, di usare i media
globali e di sollecitare una ripolarizzazione improvvisa dell’immaginario
globale.  Questa rivolta indica una direzione: la globalizzazione deve
essere guidata dal sapere eticamente motivato, e deve essere una potenza
di tutte le donne e di tutti gli uomini, non un potere per una minoranza. 


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